Roba da chiodatori – parte prima

Giugno 2008

Digressione sui chiodi piantati male e sui chiodi piantati bene.

di Marco Pukli – Giugno 2008

Incipit.
Le vie d’arrampicata sportiva su roccia ben chiodate e quelle mal chiodate si assomigliano tra loro, ma ogni via veramente mal chiodata racchiude in sé una “bruttezza” che la contraddistingue da tutte le altre.
Forse sono un po’ troppo severo nei miei giudizi, o più semplicemente dopo vent’anni di analisi critica di ogni via che scalo, comprensiva di valutazione attenta e pignola di tutti i chiodi che vedo, mi sono un po’ rincoglionito.
Fatto sta che, oggi più che mai, mi sembra che di vie d’arrampicata sportiva Attrezzate a Regola d’Arte (*), quindi chiodate come dio comanda, ce ne siano ben poche.
Ecco allora che mi chiedo: quali possono essere stati i motivi che ci hanno portato ad avere così poche via “ARA” e così tante vie chiodate alla belin di cane?

(*)
Per via d’arrampicata sportiva Attrezzata a Regola d’Arte, d’ora in poi “ARA” (denominazione che fa un po’ ridere ma che in fondo in fondo ha un suo senso), intendo quel genere di via quale potrebbe essere, volendo fare solo alcuni esempi locali: Chant de Florette a Peillon; Itinéraire d’un grimpeur gàte a Gorbio; Les cochons dans l’espace alla Loubiére; Fatal Fury a Castillon; Tik alla Rocca di Corte; Lo spigolo dei bucanieri a Toirano; Amen al Grottone di Tanarello; La folle speranza al Terminal; Tapas ad Euskal; Cyndi Wau Wau alla Fontana; Cianbalaur a Monte Cucco; Raiëu a Superpanza; Oltremitica a Bric Scimarco; Ombra a Rocca di Perti.

Chiodare una via “ARA” significa, tra le altre cose, offrire un “servizio” a chi scala, svolgendosi la via su una parete che deve essere considerata un bene comune, in quanto parte integrante di quel mondo sul quale, bene o male, tutti noi dobbiamo vivere.

La roccia e gli appigli, la terra nei buchi e l’aria che li circonda, il vento ed il sole, appartengono all’umanità intera (“appartengono” per modo di dire). I chiodi sulla via, invece, non sono di nessuno e rappresentano un mero servizio che qualcuno (il chiodatore) ha voluto offrire agli altri (gli scalatori), col solo scopo di rendere scalabile un tratto di parete.

Sono partito da questa idea un po’ strampalata di “servizio di chiodatura” per arrivare ad esprimere una serie di idee che, quando mi vennero in mente, considerai molto importanti, e che ora posso così riassumere: lo scopo del chiodatore deve necessariamente contemplare sia l’estetica che la fruibilità delle proprie creazioni. Come a dire: ogni via “ARA” deve “sempre” essere sia bella che scalabile.
Penso che una via si possa considerare perfettamente attrezzata solamente se:

è interamente “scalabile”, ovvero è chiodata in modo che una qualsiasi persona con un livello tale da essere in grado di effettuare i passaggi della via in libera possa arrivare in catena sano a salvo. Se una via è di 7a, in linea di massima chi scala sul 7a deve riuscire a scalarla.
Notare bene il “sano a salvo”: la via è OK solo quando è scalabile entro ragionevoli margini di sicurezza. Quindi, non solo non ci si dove rompere il collo o finire all’obitorio spezzati in due, ma non ci si deve neppure far male al punto da essere costretti ad una convalescenza di due mesi nel letto di casa per aver battuto i talloni su una sporgenza.

scalandola si ha a che fare con qualcosa di veramente bello.
Resta inteso che non sarà poi la sola bellezza intrinseca della via a spalancare in modo gratuito le porte dell’estasi: per raggiungere un minimo di godimento bisognerà dar sempre fondo a tutte le proprie capacità. Al di là del tipo di chiodatura, l’arrampicata è uno sport bastardo che non regala niente a nessuno.
Il “volo”, ossia la caduta mentre si tenta un passaggio, su una via “ARA” deve essere sempre previsto, poiché è parte imprescindibile del gioco, fermo restando che in condizioni normali non ci si deve mai fare male.
Per me, il volo ha un senso soltanto se:

il chiodo è messo bene e al posto giusto;

non si rischia di andare a sbattere da nessuna parte in modo violento;

il chiodo non si trova “troppo” sotto i piedi.
Col chiodo troppo lontano (anche quando tutto va bene, con la corda non girata dietro ad una gamba e il volo ben impostato), normalmente si prende troppa velocità durante la caduta, e si rischia (in molti casi anche in forte strapiombo) di andare a sbattere violentemente contro la parete.

In ogni caso, tralasciando il problema della distanza tra il chiodo e lo scalatore al momento del volo, ciò che veramente fa la differenza tra un passaggio ben protetto ed uno pericoloso, è come il chiodo protegge il passaggio.

Se lo protegge bene, il chiodo è messo al posto giusto; se lo protegge male, è messo al posto sbagliato.

Semplice ed ovvio, come concetto, ma per riuscirlo a metterlo in pratica bisogna essere, oltre che tecnicamente ben preparati, anche sensibili artisti.
Il chiodatore dovrebbe quindi sempre cercare di proteggere il meglio possibile innanzitutto le sezioni difficili. Per ottenere questo risultato è necessario attuare una lunga serie di accorgimenti. Per esempio, dopo aver preventivamente “pulito” ogni appiglio e ogni appoggio, bisognerà provare e riprovare sistematicamente tutta la via, dall’inizio alla fine, installando poi i chiodi solo dopo aver acquisito la certezza di avere individuato il posto migliore dove metterli.
La via dovrà sempre e necessariamente essere armata con corde fisse, in modo da potervi lavorare a lungo e in sicurezza.
Su una via provata e analizzata con cura dal chiodatore, ben difficilmente si troveranno passi di blocco mal protetti, “run-aut” senza senso e moschettonamenti quasi “imprendibili”, cosa invece molto frequente su tutte le vie “chiodata ad occhio”.
Questo è comprensibile: è pressoché impossibile chiodare una via “ARA” semplicemente calandosi dall’alto e mettendo i chiodi dove “sembra” che possano andare bene. Così non funziona, i chiodi risulteranno poi messi un po’ a casaccio e la via perderà per sempre quella sua “purezza” dovuta ad una chiodatura perfetta, caratteristica che avrebbe invece potuto mantenere grazie ad un lavoro eseguito con mano d’artista.
Nella tabella che segue ho cercato di elencare alcune delle attività più importanti da eseguire correttamente per chiodare bene una via, sbagliando le quali potrebbero scaturire tutta una serie di inconvenienti. Questi inconvenienti si riscontrano effettivamente con notevole frequenza nelle nostre falesie. Non vorrei drammatizzare, ma certi settori sono addirittura una sorta di “museo degli orrori”, dove gli errori del chiodatore si sovrappongo uno con l’altro creando una “miscela esplosiva” di pericoli latenti, celati in vie che solo in apparenza sono ben chiodate (perché magari con chiodi nuovi e ravvicinati), ma che nella cruda realtà dei fatti sono brutte e pericolose (chiodi messi male? resina inadatta? moschettonamenti impossibili?).
Tanto per fare un esempio, si pensi che, normalmente, ad un chiodatore capace ed esperto, per chiodare bene un tiro “ARA” sono necessarie due giornate di lavoro (ovviamente non retribuito, ed è giusto e necessario che sia così).
Ebbene, c’è invece chi in due giorni è riuscito a “sfornare” più di 10 vie nuove. Troppo poco, il tempo impiegato, e non dico il risultato.
L’incapacità di dedicare il tempo occorrente alla varie fasi di lavorazione necessarie per realizzare una via, è uno dei principali sintomi che mettono a nudo il deficit tecnico ed artistico di un chiodatore.

  Attività corretta Errore da evitare Note
1 Installare bene il chiodo (1).
Posizionamento.
Il moschettone lavora male (la barretta tocca contro la roccia, fa leva, eccetera). Pericolo di rottura del moschettone. Indica quasi sempre un lavoro effettuato frettolosamente.
2 Installare bene il chiodo (2).
Foro.
Fare male il buco, ossia:
troppo corto e / o senza scasso per l’alloggiamento della testa (il chiodo sporge troppo).
Particolarmente grave se unito all’errore 3.
3 Utilizzare sempre materiale adatto per attrezzare la via Utilizzare resina non adatta (poliestere, bicomponente per ancoraggi medi); mettere poca resina nei buchi (foro troppo piccolo; chiodo troppo piccolo); utilizzare chiodi non testati (tiracavi da ferramenta). Alla lunga i chiodo muovono. Errore grave quanto comune.
4 Mettere il chiodo su roccia solida. Posizionare l’ancoraggio su roccia instabile.
Se una canna; su roccia concrezionata; su un blocco che suona vuoto, per quanto grande sia.
Errore grave quanto comune.
La roccia va sempre controllata a suon di martellate, prima di chiodare.
5 Posizionare ogni ancoraggio nel posto giusto (1). Per moschettonare da una posizione corretta. Moschettonamento mal disposto: bisogna fare peripezie per moschettonare quando sulla via sono presenti degli appigli grazie ai quali il moschettonamento sarebbe agevole. A volte qualche anima pia mette un “fisso” (cordone), per rimediare alla bell’e meglio al problema. E’ quasi sempre indice di via chiodata senza averla prima provata e segnata adeguatamente.
6 Posizionare ogni ancoraggio nel posto giusto (2). Per proteggere bene un passaggio difficile. Moschettonamento mal disposto: passaggio chiave mal protetto; volo
a terra, su cengia, su canna, in diedro.
E’ quasi sempre indice di via chiodata
senza averla prima provata e segnata
adeguatamente.
7 Posizionare ogni ancoraggio nel posto giusto (3).
Per proteggere bene un passaggio potenzialmente pericoloso.
Moschettonamento mal disposto: volo troppo lungo, con buone possibilità di
andare a sbattere contro la roccia.
Indica quasi sempre un lavoro effettuato frettolosamente. A volte è però un effetto voluto.
8 Posizionare ogni ancoraggio nel posto giusto (4).
Per proteggere bene un passaggio in relazione alla difficoltà della via.
Moschettonamento mal disposto:
Passaggio difficile mal protetto, in modo che il volo risulti pericoloso per
lo scalatore con il livello della via.
A volte è un effetto voluto.
9 Posizionare ogni ancoraggio nel posto giusto (5).
Per far sì che ogni chiodo sia ben
moschettonabile.
Moschettonamento mal disposto:
chiodo messo troppo in alto rispetto alla posizione comoda, “prendibile” solo bloccando con il braccio chiuso.
Esistono diversi casi in cui il chiodo deve essere necessariamente posizionato in un punto moschettonabile solo bloccando con il
braccio chiuso, ma sono eccezioni. In
linea di massima, il chiodo deve essere
posizionato in modo da moschettonarlo a braccio disteso, o quasi.
10 Non modificare le prese naturali (se non per “pulirle”). Esempio tipico: Per creare due vie anziché una sola, il chiodatore
scava le prese che mancano per fare due itinerari, anziché tracciare una sola linea logica e naturale.
Che tristezza!
Perseguire la quantità piuttosto che la
qualità!
11 Verificare sistematicamente la
tenuta e la solidità di tutte le prese, grandi e piccole.
Ogni appiglio deve essere testato
singolarmente, al fine di avere la certezza che non si romperà in futuro.
Se un appiglio risulta dubbio, bisogna sempre decidere se romperlo o
consolidarlo.
 
12 “Pulire” sempre tutta la via (massi instabili, ma anche ogni appiglio
fragile, scagliette, lichene, eccetera).
Sulla via risultano esserci blocchi instabili, oppure appigli e appoggi
non testati uno per uno (tramite oculato martellamento per verificarne la tenuta).
Necessario grande utilizzo di mazzetta,
martello, vari tipi spazzole di ferro e di
plastica, pinze, spazzolini, pompette, seghetti e punteruoli.
13 Scegliere sempre e solo la linea più bella (1). Non farlo per fare una via più difficile rispetto alla linea logica. Un esempio classico:
una bellissima canna indica una linea
perfetta. Il chiodatore però mette i chiodi su un muro a buchetti a sinistra, perché molto più difficile.
Risultato:
tutti scalano la canna, spostandosi a sinistra solo per moschettonare (in malo modo).
14 Scegliere sempre e solo la linea più bella (2). Pur di ricavare un numero più alto di vie, sacrificare le linee di più
belle.
Risultato: una falesia con “ben” 20 vie
anziché “solo” 15, di cui però solo 3
veramente belle anziché 10.
15 Non chiodare mai linee brutte o insignificanti. Fare schifezze. Chiodare “di tutto”, bello e brutto, perché si è pagati, è un’aggravante.
16 Fare bene la sosta. Innumerevoli i possibili errori. Molto frequenti: lo scorretto posizionamento dei 2 chiodi (la corda fa i riccioli quando ci si cala); l’utilizzo di materiale estremamente pericoloso (moschettone in alluminio per calata),
eccetera.
Dovrebbe essere la parte più sicura e curata della via e invece è quasi sempre la più trascurata, eseguita con materiale di fortuna, o senza criterio, o puntando al risparmio (!)
17 Dedicare il tempo necessario (1).
Per trovare la linea migliore.
Via costretta o con linea illogica. invadano altri, linee che si sovrappongono, eccetera.
18 Dedicare il tempo necessario (2).
Per la pulizia.
Via “sporca”. Bisogna testare ogni singolo appiglio.
19 Dedicare il tempo necessario (3).
Per l’installazione dei chiodi.
Via con chiodi che muovono, o messi male. Vedi anche errori 1/9.  
20 Pensare agli altri Via inscalabile (o esageratamente
selettiva).
Al loro livello di scalata in relazione al
livello della via. Alla statura di ognuno per i moschettonamenti.
21 Non voler chiodare tutte le linee disponibili in un settore. Falesia “seriale” che ricorda l’arrampicata su pannello. L’arrampicata su roccia è un’altra cosa.
22 Rispettare la roccia Scavare a vanvera. L’arte di chiodare si manifesta innanzitutto nella scelta della linea (con gli appigli naturali).
23 Salvaguardare le linee esistenti. Creare una linea nuova senza aver prima percorso e “compreso” a fondo tutti gli altri itinerari limitrofi. Sul predicato “salvaguardare” ci sarebbe da scrivere d’un libro.
24 Non lasciare vie fatte solo a metà (corde appese, progetti, eccetera). “Prenotare” le linee, facendo finta di aver seriamente iniziato dei lavori, che invece rimangono in sospeso per anni.  
25 Andare a ripetere le proprie vie Abbandonarle, senza aver verificato che non ci siano errori.  

Il rispetto di queste regole non offre, ovviamente, alcuna garanzia di risultati perfetti. Per contro, la loro violazione assicura una chiodatura catastrofica.
E’ capitato a tutti di trovare interi settori con vie chiodate in modo osceno, mentre non sono probabilmente in molti quelli che hanno avuto la fortuna di scalare in falesie perfettamente attrezzate.

Peccato, perché – oltre ad essere più belle – le vie ben chiodate risultano sempre “meno impegnative” rispetto a quelle aventi la stessa difficoltà intrinseca, ma chiodate male. Questo è dovuto al fatto che lo scalatore, quando scala una via ben chiodata, non “sente” su di sé quelle particolari difficoltà derivanti dalla cattiva chiodatura (che lo costringe a far peripezie per proteggersi). Riceve quindi la sensazione di scalare una via “più facile” rispetto ad altre valutate con lo stesso grado, ma chiodate peggio. Resta inteso che questa è una sensazione ingannevole: l’impegno richiesto per salire, dovuto all’eccessiva tensione per superare passaggi mal protetti e ai grandi sforzi per moschettonare, non rappresenta mai la reale difficoltà della via, bensì un artificio creato esclusivamente dalla cattiva chiodatura.

La difficoltà della via è data dai passaggi da affrontare in libera, “al netto” dei moschettonamenti, soprattutto se questi sono maldisposti. Quante volte mi è capitato di fare dei 6b+ che, per via di una chiodatura assurda, richiedevano un impegno da 7a+! E quante volte ho scalato vie perfettamente attrezzate di 7a, ben presto sgradate a 6b+ solo per la loro “virtù” di essere ben chiodate!

In pratica, in certe zone sembrerebbe che per chiodare un 7a+ sia sufficiente chiodare male un 6b+, e per chiodare un 6b+ sia necessario chiodare bene almeno un 7a. Personalmente detesto questo genere di vie: mi viene voglia di non farle, o di scalarle con la corda dall’alto, in modo da escludere i difetti dovuti alla cattiva chiodatura e assaporarmi quindi il gusto di scalare la via “pura” così com’è, senza quegli errori del chiodatore che la hanno corrotta.
Azzardo un aforisma, quasi una sentenza: quando una via è brutta o pericolosa è sempre colpa del chiodatore. Ho già elencato tutta una serie di possibili errori che bisogna evitare. C’è però un ulteriore aspetto da considerare, assai particolare e interessante, anche se un po’ inquietante: il chiodatore potrebbe aver attuato di proposito delle scelte che hanno portato la via ad essere, per certi versi, pericolosa.
In pratica, l’ha fatto apposta.

Esempio tipico, è il chiodatore che crea una via proteggendo male i passaggi difficili in modo da “selezionare”, e quindi escludere, il maggior numero possibile di scalatori. Inutile aggiungere che questo succede solo su vie che per lui sono “facili”, o giù di lì. La sua sicurezza è sempre garantita, quella degli altri no.
Alla base di questo tipo di azione c’è quasi certamente la convinzione che “chiodare” non sia un servizio da offrire al prossimo, ma un modo per impossessarsi di un qualcosa (di che cosa, poi, resta tutto da capire), sul quale fare ciò che si vuole indipendentemente dagli altri, e dai loro diritti.

Questo atteggiamento è scorretto: le vie vanno chiodate per chi le scala, non per chi le chioda, e il chiodatore non ha alcun diritto pratico sulle “sue” vie, se non quello di scalarsele.
Inoltre, in arrampicata – in qualsiasi genere di arrampicata, dall’alpinismo estremo alla scalata domenicale di coppia – la ricerca del rischio è una disciplina che ognuno deve cercare di gestire da sé, con la propria testa e con le proprie forze, e nessuno dovrebbe permettersi di voler imporre le proprie condizioni. Tra questi “nessuno” figurano anche i chiodatori.
Ma -haimé – di chiodatori che pensano che le falesie siano “loro” solo perché vi hanno attrezzato le vie è pieno il mondo.

Una delle conseguenze di questa strana visione del “bene comune”, è che le vie prodotte passando attraverso questa mentalità risultano spesso attrezzate ad immagine e somiglianza del personale “livello” di scalata del chiodatore, e non del livello intrinseco della via, come dovrebbe invece sempre essere. Faccio un esempio: su una falesia chiodata da uno che scala sull’8a, troveremo dei “facilissimi” 6b chiodati in modo a dir poco imbarazzante, vicini a degli 8a attrezzati meravigliosamente.
In pratica, le vie che si avvicinano al “limite” del chiodatore saranno chiodate bene, mentre le altre saranno terreno “off limits” un po’ per tutti.
Ecco allora spuntare strani settori con due o tre “7c+ bloc” chiodati benissimo, e quindici 6a/b di resistenza attrezzati in modo osceno.
Eh sì, perché, caso strano e veramente inspiegabile, non è che il chiodatore un po’ birichino (eufemismo) eviti di attrezzare le vie più facili! No! Chioda tutto, a raffica, in modo seriale. Non lascia nessun spazio libero, tappezzando la parete di vie. Si prende tutto, facile e difficile, bello e brutto, lungo e corto, marcio e sano, interessante e disgustoso.

L’unica cosa che tralascia è di non fare errori.
Non è raro trovare itinerari di 7a chiodati in modo talmente bizzarro che se per disgrazia va a farle uno che realmente scala solo sul 7a succede un “patatrac” rumore di talloni sfondati…), soddisfacendo appieno il “senso di giustizia” di quel chiodatore che – evidentemente – voleva intorno a sé solo gente in grado di scalare “ben oltre” il 7a.

Sembra proprio che certi chiodatori vogliano “giudicare” gli scalatori basandosi sull’altrui abilità nella scalata, condannando quindi all’inferno i brocchi ed i tranquilli, ma promettendo il paradiso ai fortissimi e agli intraprendenti, agli eroi.

Ecco che allora diranno ai “dannati”: «le nostre sono vie chiodate lunghe». Ma cosa vuol dire – santiddio! – chiodate lunghe? Nessuno ha mai notato che su tantissime di queste vie, lasciando invariato il numero degli ancoraggi in loco ma disponendoli in modo migliore, queste risulterebbero chiodate normali? Quelle non sono vie chiodate lunghe, sono soltanto vie scandalose.
Sembra una barzelletta, ma di vie così ce ne sono tantissime. Interi settori che pur promettendo itinerari “ARA”, in realtà sono trappole, nelle quali è sempre facile cadere, visto che parliamo di belle falesie costellate di vie, su roccia sana, alte 30 metri, al sole, distanti 10 minuti di cammino dalla macchina – e non della parete Nord dell’Eiger (la quale, nel suo essere oggettivamente pericolosa, resta una parete onesta).

Farsi male su una via d’alta montagna, di stampo alpinistico, è un conto (in alta quota il fattore rischio è inevitabile, e deve necessariamente far parte del gioco) mentre farsi male su una via “ARA” è un altro.

Come a dire: se decido di partire in compagnia dell’audace Reinhold per una grande via del Monte Bianco, in inverno, mi attrezzo e mi preparo in un certo modo, mentre se vado a scalare con la bella Nastassja una dolce mattina di primavera ad Albenga mi predispongo diversamente.
Non sono poche le persone che, vittime ingenue di queste trappole, vi si sono fatte male. Chissà in quanti hanno passato giorni su giorni doloranti a leccarsi le ferite, magari pure con la vergogna di non aver saputo gestire correttamente il rischio connesso alla pratica dell’arrampicata su roccia!

Pensandoci bene: è realmente possibile gestire a dovere un determinato tipo di pericolo, quando questo viene generato proprio dalle opere di colui che avrebbe dovuto fare di tutto il possibile per scongiurarlo?

Chi è che non ha saputo “stare al gioco”, lo scalatore che s’è fatto male o il chiodatore?
I chiodatori “poco affidabili” sono, nel complesso, un po’ pericolosi, e non mi sembra giusto assecondarli, giustificarli o addirittura incoraggiarli più di tanto; anzi: bisognerebbe sempre riuscire ad immaginare quanto più bella sarebbe potuto essere una via se, al posto di un chiodatore mediocre (o semplicemente egoista), ne fosse arrivato uno veramente bravo.
Perché una via grosso modo scalabile ma priva d’interesse estetico, oppure mal chiodata, è una via che non dovrebbe esistere.
E’ ora che si inizi a capire che non tutti i chiodatori sono benefattori senza i quali non si saprebbe dove andare a scalare. Perché se è vero che è il lavoro di attrezzatura a rendere possibile la scalata, è anche vero che il mero fatto di poter scalare, se ristretto ad un’attività priva di valore, di per sé rappresenta un qualcosa di assolutamente insignificante.
Non è quindi il predicato “scalare” a farla da padrone, bensì come il soggetto, lo scalatore, vive l’esperienza della scalata. Fintanto che l’uomo non la valorizza, l’arrampicata, in sé, è destinata a restare un termine quasi privo di senso, un’azione come tutte le altre, uno sport senza via d’uscita.
Per uscire da questo nulla, la scalata deve quindi, dopo essere divenuta possibile, risolversi nella bellezza. Ciò che conta, in fondo, è l’intensità estetica che grava su una via, alias “quanto” la si può sentire bella.

La persona che scala va incontro a questa possibilità estetica; ma per far sì che l’opportunità di valorizzare l’arrampicata si concretizzi, la chiodatura presente sulla parete non dovrà in nessun modo compromettere né la purezza della roccia, né le possibilità insite nello scalatore di afferrarne i significati.
Non si sa bene perché, non si capisce come, ma a volte s’avvera il miracolo e – sia benedetto San Bernardo di Mentone – la roccia riceve su di sé una sfilza di chiodi messi a regola d’arte, chiodatura perfetta eseguita con la diligenza del buon padre di famiglia.

A condizione che sia ben fatto, e solo a questa condizione, il “lavoro” del chiodatore “ARA” diventa allora qualcosa di veramente importante, poiché è proprio grazie ad esso che ogni scalatore potrà avere l’opportunità di vivere sulla roccia – e sulla propria pelle – delle esperienze di un certo valore, valore che sarà tanto più alto quanto più intense saranno le esperienze vissute.

Non è cosa da poco. Per quanto ne so io, l’intensità di queste esperienze è superata solo da ben ben ben poche altre cose al mondo.

 

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